L’ARTISTA DEI VOLTI SUI CAMPI DI GRANO

Di Antonio Gregolin                                   -© riproduzione vietata del testo –

IL MISTERO “SVELATO” DEI VOLTI NEI CAMPI DI GRANO

Obama, Mandela, Topolino ecc. sono le  figure realizzate nei campi arati dal poliedrico artista veronese, Dario Gambarin, che svela per noi i segreti della  sua arte “terra-terra”che lo sta rendendo celebre in tutto il mondo.

In campo artistico si è visto di tutto, anche uno che decide di salire su un vecchio trattore con l’intento di utilizzare un campo come il fondo di un quadro. Impulso creativo, ma soprattutto, ostinata capacità di un eclettico e poliedrico artista come il veronese Dario Gambarin, 52 anni, che dopo il suo primo esperimento di  trasformare un campo di grano in un’enorme tela, dal 2002 è divenuto uno dei primi -se non l’unico-, esponente mondiale di questo genere di  “land–art” o arte della terra.

Niente però a che vedere coi cerchi nel grano: “Non credo agli extraterresti, quelli semmai sono abili artisti terresti che sanno come nascondersi…” spiega Gambarin. Evitate così le comparazioni coi misteriosi “crop circe”, quella dell’artista veneto oriundo di Castagnaro nella bassa veronese, è un arte svelata in ogni suo dettaglio. Evoluzione ed ispirazione dell’epressionismo dei primi del ‘900, quella di Gambarin  ha ormai il crisma di una vera e propria scuola di pensiero che ha come regola il rapporto tra l’uomo e la terra.

La sua filosofia sprofonda nel solco tracciato sul campo dall’aratro come movimento di vita e ancestrale gesto dal quale scaturisce la genesi dell’arte stessa. Fin qui il pensiero di Gambarin: la pratica invece è una forma empirica, come gli è stato trasmesso fin da ragazzo dal padre agricoltore. “Amo la terra -replica lui-,  sono cresciuto con l’odore delle zolle dissodate, che fa ormai  parte del mio codice genetico e artistico. Ho così sempre cercato un rapporto ideale e pratico con ciò che ogni giorno calpestiamo, fino a quando in Germania ebbi modo di  osservare dei lavori artistici realizzati coi fiori”.

“Erano figure geometriche riprodotte in piena terra e poi fotografate dall’alto. Ma ciò non mi bastava: tutto era troppo semplice, lontano da quella plasticità delle forme che andavo cercando…”. Ricerca e passione restano gli ingredienti di ogni scoperta, così sentirsi descrivere l’arte da chi la produce, è come sentirsi spiegare uno spartito musicale dal suo compositore, e Gambarin è anche un artista e musicista. “Per anni la mia principale attività fu quella del musicista. L’arte ha sempre prevalso sul mio intelletto, tanto che essermi laureato in Giurisprudenza prima, Lettere e Filosofia e diplomato all’Accademia delle Belle Arti , non è bastato a farmi desistere dalla vocazione artistica che sentivo”.

Poteva così essere un avvocato o insegnate come avrebbe voluto il padre, invece Dario ha fatto altro, continuando a studiare, ricercare ed approfondire: “In fondo, suonare, dipingere o arare in forma artistica –aggiunge il maestro-, hanno molte cose in comune…”. Facile a dirsi, meno a immaginarselo: “Il movimento resta il motore dell’espressione –aggiunge Gambarin-, io non buco le tele come faceva Fontana più di mezzo secolo fa. Preferito sostituire alla tela lo spazio aperto di un campo. Mio padre quando mi portava con lui sul trattore me lo raccomandava spesso: “Impara l’arte e mettila da parte!”. Così ha fatto, anche se in una forma inusuale, che alla fine ha costretto il genitore a rassegnarsi. C’è da immaginarsi l’espressione di suo padre quel giorno del 2002  quando Dario già grande, approfittando della momentanea assenza, prese il mezzo meccanico con l’aratro sbizzarrendosi  a tracciare solchi che diventeranno linee in piena terra: “Quel giorno –racconta l’artista-, iniziai a fare degli ampi giri concentrici sul campo di grano appena trebbiato, pensando di dover realizzare un ipotetico volto in negativo di donna, usando però l’aratro e la terra dissodata come rilievo”.

“Lavorai con frenetica passione per più di un’ora, convinto che papà non sarebbe tornato…”. Non fu così, lui tornò la sera stessa: “Ho ancora in mente la faccia che fece quando vide il campo così arato che non mostrava nulla di quello che poi si sarebbe visto dal cielo. Laconico mi disse di spianare tutto subito, timorato di ciò che avrebbero potuto dire i vicini”. Quel “colpo di matto” del figlio, non lasciava presagire che in realtà si trattava  di un “colpo di genio”. Neppure lo stesso Dario immaginava ciò che aveva creato: “Sul trattore pensavo solo a tracciare un volto di donna, senza alcun riferimento geografico o schizzo preparatorio. Tutto era affidato al mio intuito”. L’indomani mattina, prima di spianare il tutto e spinto dalla curiosità, chiese ad un amico che aveva un piccolo aeroplano, di filmare dall’alto il campo di grano trebbiato. Fu una autentica sorpresa per tutti!

A stupirsi per primo fu il pilota del velivolo che portò a Dario il filmato, in cui si vedeva la faccia di una donna, stagliarsi sul campo arato del padre. Da quell’opera prima, i restanti anni sono stati uno “stupore” continuo dinnanzi alle successive figure che avrebbe tracciato sui campi. Realizzò Topolino, un alieno “Welcome“, ma anche personaggi storici come  Mandela “The winner” e opere concettuali dedicate alle religioni, fino ai più astratti volti picassiani. L’opera  che però sancì il coronamento mondiale di Gambarin, fu e resta il volto del presidente degli Stati Uniti, Obama. Un’altra sua genialata creativa:“Erano i giorni della sua visita in Italia nel luglio del 2009, e pensavo a cosa poter realizzare nel campo che avevo a disposizione. Ebbi una folgorazione ascoltando le notizie alla radio su Obama. Il giorno dopo ero già sul trattore: appena due ore di lavoro e il presidente poteva dirsi immortalato su un campo di grano. Così almeno speravo!”.

Fu il solito sorvolo con l’aereo che gli diede la conferma: “Obama è meraviglioso!” gli  disse via sms il pilota. La notizia rimbalzò presto anche oltre oceano, con servizi televisivi nei maggiori network americani e inglesi pronti ad occuparsi   dell’eclettico “aratore” veronese. Per Gambarin fu  la conferma che la sua arte era anche un messaggio: “Dopo aver tracciato con l’aratro il volto di Obama, scrissi su 27mila metri quadrati di terra la frase:The hope is  in the land, la speranza è nella terra!”. Ad oggi le opere di Gambarin non si contano più, due o tre in un anno a seconda della clemenza delle  stagioni e degli amici contadini: “Opere  naturali istintive e prive di qualsiasi preparazione tecnica. Ogni tentativo è un “unicum” che non ammette sbagli. Mi basta un campo di grano o mais appena mietuto, il mio trattore e via…”.

Tutto dura un paio d’ore, alla cieca e senza nessun riferimento. Tempo  in cui  l’artista  “è in preda ad un impeto creativo tale, da fargli perdere anche due chili  ad opera terminata. Al termine il rituale dello scatto panoramico dal cielo, è la conferma della riuscita dell’opera. Dopo di che,  il campo può tornare alla sua naturale vocazione agricola per essere arato normalmente. “C’è allora chi dice che uso l’aratro e il trattore come un pennello e per questo mi definisce un “artista dell’aratro”, ma la definizione mi sta stretta! Preferisco -aggiunge Dario-  essere un artista che dialoga con la terra, come fa un pittore con il colore. Peccato solo che comprendere questo in una società convulsa come la nostra è oggi quasi impossibile, perché non sappiamo più rapportarci con il linguaggio del nostro pianeta.

Consumiamo da perfetti consumatori, pur sapendo che le risorse sono limitate. Ecco perché le mie sono opere si dividono  ra un new ex-pression astratta, come delineano i volti che ritraggo in studio, e la sensibilizzazione civile con le opere  che realizzo en plein air nei campi”. Lo dimostra l’ultima sua  ciclopica immagine realizzata su 50mila metri quadrati nella campagna veronese nel novembre 2010, contro il recente dissesto idrogeologico in Veneto, ispirandosi all’omonima opera di Munch: “A urlare qui è la terra.  Quella stessa terra veneta violata dal progresso. “Così il nostro atteggiamento ci sta portando  sull’orlo dell’estinzione” conclude l’artista. L’arte per l’arte dunque, con Gambarin  diventa un tentativo “terra-terra” di una improbabile riconciliazione tra noi e il pianeta che abitiamo e sfruttiamo. Per ora la sua ” vecchia bestia” cioè il trattore parcheggiato sotto la tettoia della sua fattoria, resta  in attesa di rimettersi in moto non appena il pittore-aratore decide di tornare a dipingere sui campi.

QUANDO L’ARATRO DIVENTA  LIBERTA’

Dario Gambarin, 52 anni è nativo di Castagnaro nel veronese, dove impara dal padre  agricoltore ad usare l’aratro. Resta però difficile descrivere la vita di un personaggio tanto eclettico, diviso tra la ragione e immaginazione. Due lauree, una in giurisprudenza e una in lettere e  una diploma all’Accademia delle Belle Arti, e un biennio passato come ricercatore in una università americana. La musica e poi l’arte avranno però il sopravvento e lui dal 1990 decide di seguire le sue  passioni di sempre. Si trasferisce a Bologna dove ha il suo studio. Oggi in teatro fonde la musica con la pittura in performance che lo rendono quanto mai originale..  Dal 1999 si dedica a fare il pittore esponendo i suoi volti in molte gallerie internazionali.

Dal 2002 spalanca le porte alla “land art”. Da Bologna torna spesso nella campagna veronese per “arare” e creare le sue opere. Esperienza che l’ha portato ad essere conosciuto in tutto il mondo dopo aver “disegnato” su un campo il volto di  Obama, Mandela, Topolino, ma anche l’urlo di Munch e figure di animali. Il suo prossimo lavoro “terreno” è annunciato per la primavera prossima: “Per ora – dice- sto aspettando l’ispirazione che verrà” o c’è già ma non vuole ancora rivelarla. Gli è stato anche  chiesto  di realizzare i volti di alcuni personaggi politici italiani: “La mia arte non serve il potere. Il mio aratro resta un simbolo di libertà!”.

LAND-ART: L’ESPRESSIONE NATURALE DELL’ARTE

La Land art o Earth art pone le sue radici nel suolo statunitense negli anni ’70. Il termine fu coniato per la prima volta da G.Schum pubblicando un video sui lavori di Long, De Maria e Christo. Questi artisti avvertirono l’esigenza forte di un ritorno alla natura e di sciogliere le catene della civilizzazione e dell’opprimente vita cittadina di quel decennio.

Si tratta di un’esperienza creativa all’interno dell’arte concettuale che rinuncia alla volontà di creare una forma nuova, cioè fatta dall’uomo, ma assume come forma la realtà stessa. Gli artisti “land” considerano il dato fisico come un tutt’uno con l’arte, dove l’oggetto nudo presentato nella sua forma primordiale potrà essere colpito da elementi esterni che mutano la sua azione, ma senza sostituirlo, né coprirlo come avviene con la pittura o con la tavola.

Il loro obiettivo è far entrare in piena sintonia l’opera con l’ambiente circostante oltrepassando i limiti del prodotto mobile, in questo modo il fruitore sarà in grado di realizzare un’esperienza estetica più completa. Tra gli esponenti emergenti della Land-Art italiana, il capofila dei disegni sui campi è proprio il veronese Dario Gambarin.

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