SUOR CHIARA: L’ULTIMA EREMITA-PASTORA DEL CERBAIOLO

di Antonio Gregolin – Tutti i diritti riservati  di testo e foto copyright2000-

SUOR CHIARA: L’ULTIMA EREMITA-PASTORA DEL CERBAIOLO

Ha vissuto e pregato nel suo eremo per oltre trent’anni, circondata dalle sue capre, pensando a quell’eternità dove oggi riposa.

TRA CIELO E TERRA

Chi l’ha conosciuta, difficilmente può dimenticare quella piccola ma grande religiosa che è stata suor Chiara Barboni, considerata  l’ultima eremita-pastora d’Italia. Suor Chiara, si è spenta all’età di 86 anni con il vento della primavera (alle 15,52 del 29 aprile 2010) lontana però dal suo venerato Monte Cerbaiolo, dove vi ha fatto ritorno stavolta per l’eternità, il giorno del suo funerale il 3 maggio 2010, dove è stata inumata nel cimitero monastico ai piedi dell’antico monastero. Una vita spesa al servizio del silenzio di quei boschi, delle aspre rocce che dominano la valle, del vuoto-pieno dei corridoi monastici. Ma anche madre del suo focolare, dove portava i capretti più bisognosi. Voce quella sua che molte volte si confondeva nel frastuono dei belati delle sue amate “bambine” (come amava definire le capre in onore di colui che le ha create). Donna di profonda spiritualità: anche quando lavorando nelle stalle, la si sentiva sussurrare questa preghiera: “Padre Nostro…dacci oggi il nostro fieno quotidiano”. A poco servivano a lei le “ore della canonica preghiera”.

Preferiva pregare davanti al suo focolare, ascoltando il sibilo del vento d’inverno irrompere dagli spifferi delle finestre. Suo era il crepitio del fuoco coi ciocchi che gli facevano da poggia piè. Gli animali sembravano fargli da coro: cani, gatti, agnelli, ma anche quel topolino che camminando tra i tubi arrivava fino a ricevere il formaggio dalle mani dell’anziana monaca. Anche una civetta si era accomodata in cucina, in quella normalità “selvatica” di cui suor Chiara sembrava essere depositaria, frutto –forse- di quella vicinanza spirituale con l’eremo della Verna dove frate Francesco ricevette le stimmate. Era per questo che con un guizzo d’orgoglio, suor Chiara amava ripetere a coloro che arrivavano fin lassù: “Chi vede la Verna e non il Cerbaiolo, vede la madre ma non il figliuolo”. Tanto semplice era la sua spiritualità (apparteneva all’Ordine della Piccola Fraternità Francescana di Santa Elisabetta d’Ungheria con sede in Firenze), da diventare contagiosa.

Chi infatti ha avuto la fortuna di avvicinarla e frequentarla, può testimoniare il carisma che la piccola monaca emanava. In lei coabitavano saggezza e semplicità, tanto che l’impressione comune era quella di sentirsi disarmati davanti alle sue battute acute e piene di umorismo, come da quel suo rapporto un Dio che abitava tra quelle mura. Un dialogo essenziale il suo, da donna di montagna e cenobita, per niente distaccato, benché  a volte severo.Incarnava la dolcezza dei gesti (le carezze fatte agli animali), ma anche l’austerità delle rocce che la riparavano (parole greve come massi). Così, ascoltare il paesaggio che circonda il Cerbaiolo era come ascoltare la voce della sua vecchia custode. Si percepiva che lei era “nel mondo, ma non del mondo”. Davvero un pezzo di cielo caduto in terra? Chiedetelo a chi l’ha vissuto…

“L’ORA DEL PASTORE…”

Vivere da pastori, – spiega la religiosa -, significa sapere cosa si prova quando la desolazione e lo strazio ti mostra ciò che il lupo ha compiuto, dilaniando gli animali. Allora ci si sente impotenti ed affranti, come se qualcuno ti rubasse la pace!” Quella pace che lei chiama  “l’Ora del pastore”. Un momento  che gli allevatori conoscono bene, quando infatti gli animali al pascolo sono al sicuro e l’atmosfera si fa beata e pacifica anche per il pastore. Tutto ciò ha un sapore biblico: una sospensione dello spirito che ti porta a quel sollievo che diventa un abbandono verso Dio.

In quegli istanti trascorsi al pascolo, – racconta la pastora-  si può capire come il Buon Pastore abbia immesso anche in quelle semplici creature il suo afflato d’amore. “Basta osservare gli animali felici e mansueti, che rientrano all’ovile a sera per stringersi attorno ai cuccioli con una tenerezza famigliare. In fondo, l’ora del pastore è lo spirito della Pasqua cristiana. ” Sono gli insegnamenti della natura, le regole a volte belle o truci di coloro che senza fare distinzione sono immersi nella contemplazione della vita reale: “Non chiamatemi mistica – dice Chiara-, semmai definitemi una contemplativa. Quando porto al pascolo le capre, anche se in quel momento non sono fisicamente dentro una chiesa, ciò che sto facendo diventa un “ora et labora”, come ricordano gli antichi padri della Chiesa. Prego mentre sto allattando un capretto, oppure mentre preparo il fieno per le capre, perché è lì che la Parola si rende reale. Nel quotidiano esistere delle piccole cose, come dice Isaia: “Dio porta gli agnellini sul suo petto”, oppure la parabola evangelica del buon pastore che sacrifica la vita per le sue greggi.”

” Tutta la Bibbia è costellata di figure e situazioni come queste, e se continuo ad essere una religiosa-pastora – afferma Chiara-, è perché scopro ogni giorno in questa vita qualcosa di straordinariamente nuovo.  Le giornate del pastore non sono mai identiche l’una all’altra. “Un pensiero quello di Chiara che si fa preghiera “spontanea” anche mentre accudisce le capre; capita così di poter sentire intonare il Padre Nostro con la variante: “..dacci oggi il nostro fieno quotidiano!” “Qui trovo tutto ciò che serve per la mia fede, non intendo quel “tutto di più” di chi giunge fin quassù dalla città, immaginando la vita pastorale come un qualcosa da manuale.

Questa vita è intrisa di sacrificio e dedizione; le capre ti cercano e richiedono assistenza quotidiana. Tutti i giorni dell’anno. Sanno che hanno bisogno del pastore e lo ripagano con un rapporto speciale.  Il pastore conosce le sue pecore, dice la Bibbia, ecco perché molto spesso mi  accorgo di usare il plurale quando mi rivolgo alle mie caprette dicendo: siamo qui! Me le sento vicine,diciamo pure alla pari considerando il rispetto che dobbiamo al creato. C’è poi la solitudine di questa valle, che è il mio “humus spirituale”; una condizione di privilegio che mi porta ad accettare ciò che Dio vuol somministrarmi.” “La regola è aspettare e ricevere. I pastori in fondo non hanno mai fretta. Il tempo degli uomini è una ricerca continua per tutti, senza distinzione. Più uno si fissa in Dio e meno ha la percezione che il tempo trascorra”, soprattutto in questi luoghi dove sembra inesorabilmente imprigionato tra le rocce.

L’ETERNO IN ATTESA DELL’ETERNITA’

Ripeteva spesso di “essere di passaggio” su questa terra, a fare intendere che quel suo piccolo monastero che negli anni ’60 ricostruì pietra su pietra come fece Francesco a S.Damiano, era una specie di “stazione intermedia dello spirito”, ma con una più alta destinazione.Parlava del Cerbaiolo come di una parentesi che precede ciò che l’aspetta  “quando il  mio Signore mi chiamerà!”. “E’ uno spaccato di paradiso in terra?” ebbi modo di chiedergli un giorno. “Faccia un po’ lei…” mi rispose  sorridendomi col suo modo di fare  incisivo. Pareva che le robuste mura secolari e la carne sempre più debole  di suor Chiara si fondessero. Eppure, lei sentiva l’eco della sua morte giungere dalla valle. Già un anno prima la suo passaggio,  nei suoi discorsi metteva sempre  questa intuizione: “Sento che ormai il mio cammino sta per giungere alla meta…”. Poi chiudeva il tutto con una risata. I vecchi sanno quando devono morire. Lo sentono e alcune volte lo dicono. Lo diceva e lo ripeteva anche a me, ma è rimasta “da buon soldato” fino all’ultimo a difesa della sua postazione. Dal Cerbaiolo si è allontanata solo poche volte in trenta anni e per brevissimi periodi. Quando non era in casa, la trovavi dalle capre o nel bosco.

E non c’era di che sorprendersi nel vedere una donna ultraottantenne portare balle di fieno con la carriola o distribuire la “chicca”, i cereali agli animali. Tutto  per lei rientrava nella normalità di una rara vocazione “pastorale”. Il suo tempo biologico era così iscritto nel divenire delle stagioni: aveva il tempo delle nascite (degli agnelli), quello del pascolo e siesta estiva, ma anche quello del rischio dei lupi e delle gelide notti invernali. Tutto questo era il “tempo diverso” che piombava su chi valicava la soglia del Cerbaiolo. Lo si capiva già abbandonando la macchina ai piè dell’irta salita che separa l’eremo dalla modernità. Che ridere vedere suor Chiara spostarsi con la sua “Renaul Diane” , usare la macchina come se stesse al timone di un galeone . Chi vi scrive quel tracciato per metà sentiero e strada sterrata l’ha fatto più volte in sua compagnia. Scendere da quella macchina, voleva dire doversi riprende ogni volta dall’esperienza.

L’ULTIMO   NOSTRO “FATALE”    INCONTRO

Ad aspettarla ai piedi della salita, c’era l’ambulanza per quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Lei  ne sembrava convinta. Erano da molti mesi che non ci vedevamo e quel giorno di febbraio decidemmo di partire da Vicenza per andarla a salutare. Arrivammo all’eremo dopo aver cambiato, misteriosamente strada facendo i nostri piani. Qui c’incrociammo con sorpresa con l’infermiere preoccupato sul come trasportare la suora all’ambulanza attraverso la discesa: “La vostra presenza è provvidenziale” ci disse lui. Non volevamo di certo essere lì per questo. Quando ci vide, Chiara disse: “Mi spiace solo non potervi preparare una pastasciutta. Siete venuti da così lontano per questa vecchia!”. Poi aggiunse: “Non sarete venuti per accompagnarmi all’ospedale? Nevvero…”. Iniziammo la discesa con lei posta su una speciale sedia. Più volte si è scusata per lo sforzo cui ci stava sottoponendo, aggiungendo poi qualche sua battuta. Poi disse: “Voi oggi siete entrati di diritto nella storia del Cerbaiolo per questo vostro sforzo. Chiamati per fare questo? Pensate un po’…”.

Tutto si è concentrato in meno di un centinaio di metri in discesa fatta a piccoli passi che però a noi è sembrata come un’eternità. La stessa cui suor Chiara stava andando incontro. Quel giorno dopo che l’ambulanza partì per la via del ritorno, travolti dai nostri sentimenti per quel gesto inaspettato e pietoso, ci trovammo a vedere la neve che scendeva coi raggi di un sole pallido e un cielo azzurrino. Una stranezza che rendeva ancora più significativa la nostra presenza in quel luogo.

IL  FOTOGRAFO E L’EREMITA

Sono tra i pochi  fortunati che hanno avuto la  possibilità di fotografare suor Chiara nelle sue  mansioni quotidiane. Ci ho impiegato quasi un anno  prima di ricevere da lei  il suo consenso. Non amava  di certo farsi immortalare, ma quei miei scatti serviti  poi per alcune copertine e articoli che raccontavano la bella storia di “Suor Chiara delle capre”, danno testimonianza della bellezza di questa figura, dai cui occhi si evinceva la profondità del suo animo.

 

Facile per questo poterla ritrarre. Fotografia ed eternità vanno spesso di pari passo, ma non è sempre una cosa facile dovendo trattare con un’eremita. Spero di  aver colto questo genere di bellezza…

 

IL PRIMO E ULTIMO SALUTO

Così si congedata un’eremita: con un primo saluto per essere entrata nell’eternità. Ed un ultimo addio per aver lasciato questa terra. Non si vede facilmente (almeno in Italia) un funerale dove la salma arriva su un carretto trainato da un moderno asino (trattore).

Immagine d’altri tempi. Una scena non nuova da queste parti, vista la posizione isolata dell’eremo del Cerbaiolo.Così anche il funerale di suor Chiara, svoltosi nel pomeriggio lunedì 3 maggio 2010, ha calcato lo stesso spirito e ritualità. Era primavera, ma quel dì anche il sole pareva intimidito. La bara è arrivata da Firenze lungo la superstrada, ma l’ultima salita al Cerbaiolo ha dovuto rispettare l’asperità del luogo. Le macchine lasciate ai piè dell’eremo, con l’ultimo strappo da fare a piedi. La piccola folla di amici e parenti spuntavano qua e là tra gli alberi. L’ultimo passo prima della salita, per suor Chiara è il passaggio dal carro funebre al carro del fieno.

Quante volte lei è venuta a prendere fin quaggiù il fieno per le sue capre. Oggi invece, è lei ad essere trasportata. Chissà se in vita lei si sarebbe immaginato tutto questo? La risposta come testimone è sì! Suor Chiara aveva voluto che fosse così il gesto di pietà per lei. Questo sarebbe stato l’ultimo viaggio dell’anziana eremita: un ritorno alla sua casa, ma stavolta per sempre. L’incedere è rotto solo dal rumore del moderno trattore. Le pietre del sentiero ostacolano l’avanzata, come se volessero rallentare quel momento. L’atmosfera intorno è più autunnale che primaverile, mentre il vento porta di tanto in tanto l’eco di qualche parola sussurrata  di chi sta pregando. Non è un calvario questo, per Chiara non lo è mai stato.

E’ solo l’esperienza di un cammino che chiede fiato, per poi giungere alla meta e poter da qui ristorare il corpo e lo sguardo. Le gesta erano intrise di  un misto tra modernità e antichità.Le mani degli amici sulla bara, come se cercassero di dare un’ultima spinta all’eremita   per arrivare nella sua  casa. Anche i suoi gatti l’attendevano . Le capre facevano sentire i loro belati, nascoste dietro lo sperone di roccia. Il ritorno dell’ultima eremita del Cerbaiolo era completato. Lei, sasso tra questi sassi, era entrata in quel silenzio animato.

IL SUO RITORNO ALLA TERRA…

Tutto torna alla terra. Da quassù, il piccolo cimitero monastico del Cerbaiolo è quasi fagocitato dal bosco. A dividerlo c’è solo un piccolo muricciolo con una piccola cappella, dove tra i fiori spontanei spuntano le

croci di quanti hanno vissuto in questo eremo. L’ho sentita ripeterlo più volte da suor Chiara, indicandomi il piccolo camposanto, che quella sarebbe stata la sua casa eterna. Ci credevo allora, ci credo ancor più oggi. La “piccola porta” scavata sulla terra ha accolto le spoglie mortali di suor Chiara. Qualche inevitabile lacrima nostra, gli avrà forse strappato un ultimo sorriso: “Non merito tutto questo…” avrebbe rimbrottato lei.E’ l’ultimo gesto pietoso fu quello dell’umida  terra che ricadeva come sigillo sul suo corpo. La avvolgeva come se volesse esserne gelosa. Perché no! Suor Chiara del Cerbaiolo è vissuta in questa terra. L’ha santificata e onorata, ed anche quando l’accompagnai  nel suo ultimo viaggio verso l’ospedale, ebbe la forza di ripetermi: “Ritornerò…”.  Così è stato, ma stavolta per non partire mai più …

nella foto L’ULTIMA SUA DIMORA ETERNA…

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Musica di riflessione Yanni – Canon Of Pachelbel


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