MANCUSO: LE PIANTE “PENSANO” A NOI

di Antonio Gregolin copyright@ntonioGregolin 2019

“LE PIANTE  PENSANO E  CI SALVERANNO”

Intervista allo scienziato Stefano Mancuso, pioniere della neurobiologia vegetale che spiega come le piante saranno (ancora una volta) artefici della nostra stessa sopravvivenza in questo fragile pianeta. 

La cosa certa, vedendo lo scempio di  potature cui sono soggetti gli alberi,  è difficile anche e solo parlare di’intelligenza. Ancor di più se gli “intelligenti” sono proprio gli alberi e le piante in generale. Sì, perché sempre più convintamente la scienza ci sta dimostrando come le piante abbiano capacità per noi inimmaginabili, al punto che un nuovo mondo sembra essere appena stato scoperto: la neurobiologia vegetale. Pioniere di questa branca scientifica è il pisano  Stefano Mancuso, che dirige il Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale (LINV), dell’Università degli Studi di Firenze, inserito nella liste dei 20 italiani che possono cambiarci la vita.Il New Yorker l’ha inserito nell’elenco dei world changers. Divulgatore e scrittore, é ormai un volto noto al piccolo schermo. A lui abbiamo chiesto di spiegarci perché i vegetali possono essere determinanti nella lotta contro l’inquinamento come per la nostra stessa sopravvivenza. Con risposte che vi stupiranno!

Iniziamo col capire, cosa sia la neurobiologia vegetale? «La neurobiologia vegetale l’abbiamo inventata noi, nei nostri laboratori. Durante il mio dottorato studiavo soprattutto la radice e mi accorsi che aveva dei comportamenti non molto dissimili da quelli di un animale come un verme: era in grado di percepire gli ostacoli prima ancora di arrivarci, di circumnavigarli, di prendere decisioni se andare da una parte o dall’altra. Da lì iniziai a guardare le piante da un punto di vista differente.La neurobiologia vegetale studia i segnali e la comunicazione presente nelle piante a tutti i livelli di organizzazione biologica, dalla singola molecola alle comunità ecologiche, cioè come le piante possano riuscire a ricevere dei segnali dall’ambiente, rielaborando le informazioni e calcolando le soluzioni adatte alla propria sopravvivenza. E’ una disciplina neonata e osteggiata da molti, che riserverà molte scoperte nel futuro prossimo».

Ha detto che le piante “pensano”? «Capiamoci, non nella forma che intendiamo noi umani, ma interagiscono tra loro con veri e propri linguaggi. Comprendo che questa possa sembrare una novità, ma gli alberi usano una forma di comunicazione da milioni di anni. Molto, ma molto prima di noi primati. Purtroppo, la nostra forma di comunicazione è sufficiente per distruggerli o violentarli sistematicamente come noi facciamo con gli alberi!  Le piante hanno vere e proprie reti viventi, capaci di sopravvivere a eventi catastrofici senza perdere di funzionalità. Sono organismi molto più resistenti e moderni degli animali. Perfetto connubio tra solidità e flessibilità, le piante hanno straordinarie capacità di adattamento, grazie alle quali possono vivere in ambienti estremi assorbendo l’umidità dell’aria, mimetizzarsi per sfuggire ai predatori e muoversi senza consumare energia. La loro struttura corporea modulare è una fonte di continua ispirazione in architettura. E ancora: producono molecole chimiche di cui si servono per manipolare il comportamento degli animali (e degli umani) e la loro raffinata rete radicale formata da apici che esplorano l’ambiente può tradursi in concrete applicazioni della robotica. Sappiamo ormai che allevare vegetali nello spazio è un requisito necessario per continuare a esplorarlo, e spostare parte della nostra capacità produttiva negli oceani grazie a serre galleggianti come Jellyfish Barge, che può essere una soluzione per soddisfare la nostra crescente richiesta di cibo. Organismi sociali sofisticati ed evoluti che offrono la soluzione a molti problemi tecnologici, le piante fanno parte a pieno titolo della comunità dei viventi. Se vogliamo migliorare la nostra vita non possiamo fare a meno di ispirarci al mondo vegetale».

Come, le piante ci parlano?  «Il modello vegetale è diverso da noi, ed è in grado di percepire prima i mutamenti e di adattarsi. Nelle piante, infatti, l’epigenetica ha un’importanza enorme: se una pianta cresce in un ambiente più caldo e con meno acqua, per esempio, imparerà come resistere e lascerà questa conoscenza alla generazione figlia. Se poi la generazione successiva non sarà sottoposta a questi problemi, perderà l’informazione. Pensiamo ai cambiamenti climatici: in un ambiente in continuo riscaldamento, fino a quando ci sarà un limite possibile di vita, le piante si adatteranno e produrranno dei figli sempre più adatti a quell’ambiente. Cosa che gli animali non si possono sognare di fare: noi siamo sempre lì, in mano a una mutazione favorevole e rarissima.
Penso che il nostro futuro dovrebbe essere affidato a un modello di tipo vegetale. Continuando a utilizzare il nostro modello, che si basa sul movimento e sul consumo, e non sulla produzione, abbiamo portato al limite estremo l’idea stessa di animale. Ci stiamo mangiando il pianeta. Se vogliamo continuare come specie il nostro futuro, questo deve essere vegetale. Quando si dice che nel 2050 saremo dieci miliardi, tutti si chiedono sgomenti come farà questo pianeta a mantenerci tutti. Io penso sempre una cosa opposta: che bello che saremo 10 miliardi, perché se riusciremo ad agire come una colonia, come le piante, avremo 3 miliardi e mezzo di persone in più rispetto a oggi che pensano e sono in grado di risolvere problemi. La vera risposta al nostro futuro è, insieme a tante altre, dare la possibilità a tutte le persone che nascono di poter dare la soluzione. Ecco perché il modello vegetale è importante mentre la gerarchia è contro l’innovazione: la gerarchia riduce il numero delle soluzioni a quelle che possono essere pensate da un numero ridottissimo di persone. Nel 1992 Nature ha pubblicato un lavoro strepitoso in cui ha dimostrato che le decisioni prese in gruppo sono sempre migliori di quelle prese dal più esperto del gruppo. Questo è il sistema con il quale le piante prendono le decisioni: distribuito, non gerarchico, con un grandissimo vantaggio di essere creativo e di portare innovazione».

Fantastico e fantascientifico nel contempo! «Forse varrebbe la pena di smettere di far fuori biodiversità vegetale. Forse potremmo chiederci se l’agricoltura intensiva, oltre a esaurire il suolo e a desertificarlo, non renda le piante “più stupide”, cioè più incapaci di reagire in modo autonomo alle avversità esterne. Forse, soprattutto, dovremmo recuperare rispetto e meraviglia per la vita che ci circonda, animale e vegetale. E ricordarci che abitiamo il nostro pianeta non da soli, e che il pianeta non è per niente solo “nostro. Di sicuro non possiamo continuare a tagliare tremila ettari di foresta al giorno. Conosciamo il 20-30 per cento delle piante sul pianeta. Di queste, il 70 per cento è in via di estinzione. Noi usiamo energia e farmaci che vengono dalle piante. Noi dipendiamo dalle piante, e non possiamo dimenticarcene”.

Le piante potranno aiutarci nella lotta al cambiamento climatico e l’inquinamento ? «Non lo si può combattere in altra maniera che attraverso le piante. Dovremmo piantarne il più possibile perché assorbono CO2. Mettere più piante possibile è l’unico sistema per abbassare l’anidride carbonica già presente nell’aria, polveri sottili e altri inquinanti. Ci sono una miriade di soluzioni  studiate osservando le piante, già pronte per essere traslate in forma tecnologica. Non lo facciamo perché non vediamo in questi organismi nulla di complesso, di utile. Se invece riuscissimo a imitare la fotosintesi, tutti i nostri problemi svanirebbero. Ma i laboratori che la studiano seriamente saranno 4 o 5: com’è possibile che in un mondo che ha necessità energetica e si scanna per il petrolio non si studi la fotosintesi per tentare di replicarla? E poi ci sono tutti i meccanismi e i materiali: tantissimi movimenti delle piante sono frutto di com’è fatto il materiale. Noi per muoverci spendiamo energia e di conseguenza abbiamo costruito così tutte le nostre macchine. Ma non è l’unico modo.

 Le piante producono movimenti senza utilizzare energia interna ma quella dell’ambiente. Questo è un altro cambio di prospettiva enorme. La pigna si apre e si chiude in base all’umidità e questa apertura e chiusura è in funzione esclusivamente di come sono messe le fibre con le quali è costruita. Perché non facciamo i materiali nella stessa maniera? Potremmo fare tante cose, non solo in funzione dell’umidità ma anche della luce, della temperatura… Da come fare le organizzazioni sociali o aziendali a come costruire i materiali, da come prendere l’energia a come non spenderla, tutto è già stato inventato dalle piante. Finora ci siamo ispirati soltanto agli animali, se voltassimo gli occhi verso quel 98% di esseri viventi che non abbiamo mai guardato potremmo scoprire una miniera di possibilità per sperare di poter sopravvivere in questo pianeta, ormai sull’orlo del collasso».

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