MARIO RIGONI STERN: Così non si muore più.

Di Antonio Gregolin                                                       -testo e foto riservati-

 

COSI’ NON SI MUORE PIU’!

La scomparsa dell’ultimo cavaliere delle steppe e foreste, Mario Rigoni Stern, con una sua inedita confidenza a sostegno del “saluto”. Malato da tempo, la notizia della sua scomparsa,avvenuta ad Asiago il 16 giugno 2008, per espressa volontà dello scrittore venne divulgata solo il 18, a funerali avvenuti.

Eravamo al’inizio dell’estate del 2009. Quel giorno pioveva, e la gente era costretta in casa. Tutto fuori si era fermato perché il calcio comanda e in televisione offriva sull’altare delle vacuità, la partita Italia–Francia. Sui monti gli ultimi singhiozzi di freddo frenava il movimento dei turisti. La notizia asciutta e diretta, fu di quelle che ripudiano ogni superfluo commento: “Mario Rigoni Stern a 86 anni è andato avanti”, come dicono gli alpini quando devono parlare  di morte, lasciando al silenzio il più assordante dei rumori.  Lo scrittore delle montagne è andato da quel “Dio delle cime” in punta di piedi, col suo ultimo passo d’eleganza umana che ha un che di  originale in questa epoca. L’ha fatto come pochi sanno ancora fare. Cinque mesi di fulminea malattia, un cancro al cervello, l’ha tradito. Gli ha tolto le parole dalle pagine che doveva ancora scrivere.  Ha dissipato una vita che però ha già  lasciato montagne di ricordi. Dal terribile “Don” russo, alla vita tra le cime dell’Altopiano. Dalle steppe lontane alle foreste vicine e oggi,  dalla terra al cosmo. Questo è il saluto a Mario Rigoni Stern. Il  più grande e ultimo insegnamento, forse, non lo troverete  nei suoi tanti scritti di vita, ma nel greve  silenzio del suo consegnarsi alla morte. Chi -mi chiedo-  sa ancora morire così? Una morte degna del più umile dei servi, come pure di un imperatore.  No, direbbe lui, ma solamente un morire da vecio montanaro!”.  Un segreto che però lui non  ha rivelato, nell’ultimo suo tratto di strada terreno: morto e sepolto, la notizia è stata diffusa solo il giorno seguente. A cose fatte e a funerale completato. Così -ripeto- non si muore più!

Il fatto che  fosse già sepolto, non ha lasciato margini alla vanità del nostro fremito quotidiano. Modestia e grandezza, messi in nuda terra. Così ha voluto, così è stato! Un morire “epico”, raro, assoluto per uno che ha succhiato l’essenza della vita che gli stava per essere strappata n guerra. Lui che ha raccontato per una vita intera  fatti divenuti poi epici. Racconti di assalti, battaglie e ritirate, come pure di pacifiche foreste, galli cedroni e vecchi montanari. Dopo questo, l’ultimo suo capitolo  ha voluto che non diventasse un racconto. Ha saputo combattere battaglie in terre lontane, ma ha  duellato con la morte immerso nel  silenzio  di quel suo ultimo “fronte” che è stata  la sua casa ai margini del bosco. L’immagine ultima che ora consegna  al mondo è quell’inevitabile tumulo di terra con una croce di montagna, dove sotto potrebbe esserci chiunque. Invece, riposa  Mario Rigoni Stern lo scrittore di tante morti. Lo stesso che avevano candidato al Nobel per la letteratura, ma  che  fin quassù non è mai arrivato! “E chi se ne frega!” avrebbe esclamato lui. Lo volevano pure  senatore a vita, ma non lo è mai diventato: “Meglio restare un montanaro qualunque!” .

la semplice croce sulla tomba dello scrittore

Ho ancora nella mente quel doppio nostro incontro in casa sua, cordiale quanto sincero. Senza formalismi, davanti a un bicchiere di garbato vinello a parlare -chissà perché- di spiriti del bosco come gnomi e fate, fino a parlare del film  “Il Segreto del bosco vecchio” di Ermanno Olmi, guarda caso suo unico vicino di casa. Oggi la scena degli spiriti degli alberi che consolano l’albero che spetta d’essere abbattuto, mi fa immaginare quello che sarebbe piaciuto anche al vecchio Stern delle montagne eterne dov’è finto. Lui, che da uomo, ora si è trasformato – chissà-, in spirito dei boschi!?  Che bello sarebbe, e così mi pare d’immaginare  l’ultima scena di un improbabile racconto: l’umidità scende nel profondo della foresta di “pesso” (abete rosso) come un lenzuolo bianco, col fresco che ti penetra dentro e ti ristora l’anima. “Mario è arrivato…” annunciava l’eco portato col fruscio degli alberi, di valle in valle  fino ad arrivare al piano. Un eco d’addio. Un saluto di benvenuto! “Ora racconterà le sue storie anche noi tutti” bisbigliarono qui gli alberelli più giovani, mentre nelle contrade gli uomini andavano dicendo: “Zè morto Stern. Un omo tutto d’un “pesso”. Per dire -forse- che lo scrittore di queste foreste,  è ora diventato un albero della loro specie !

UN SALUTO. UN INCONTRO.UN INEDITO RACCONTO

Mario Rigoni Stern  l’ho incontrato personalmente tre volte nella sua casa di Asiago(Vi) tra il 2005 e il 2007. Qualche conversazione telefonica e un invito: avere un suo ricordo su un particolare saluto ricevuto in tutta la vita. Ha risposto con entusiasmo e prontezza a questo mio invito, servito per affrancare il prezioso messaggio lanciato dalla Campagna SALVA IL SALUTO. Il suo racconto è un pezzo di storia. Della sua storia. Divenuto oggi un genuino  ricordo  dell’uomo -scrittore e saggio, che fu schivo come un capriolo.

La casa di Stern ad Asiago dove sono avvenuti i nostri incontri

E’ tra le firme letterarie che ha stigmatizzato di più il valore del saluto. Lui, che racconta storie sull’Altopiano di Asiago, lasciando parlare le montagne, gli alberi e le vicende umane trasformandole in vita da leggere, come un pozzo di memorie, ci racconta un altro spaccato di quella sua storia che ci pare senza tempo. Lo fa narrando un episodio che è fortemente legato alla campagna di sensibilizzazione  www.salvailsaluto.com che ha coinvolto tutto il territorio nazionale nel 2006, per cui lo scrittore si è speso con questo suo contributo di vita. Era per noi una grande speranza! Qualcosa cosa di grande e forte, poter vedere ogni giorno  quella bambina polacca che ci salutava nella sua innocenza.  Nel 1943 la Polonia di Hitler, divenne la nostra prigione: sporchi, pieni di pidocchi e malattie  incatenati come cani, percorrevamo ogni giorno la stessa identica strada. Ma ogni giorni quel  qualcosa di diverso era lì ad aspettarci, guardarci e salutarci! Aveva il volto dolce di una bambina bionda che alzava la sua manina. Quasi un angelo. Lei però non sapeva quanto desiderassimo vedere quel suo fare. Non immaginava quanto la sua presenza fosse una speranza per tutti noi. Attendavamo con ansia ogni giorno quel nostro incontro, fatto a distanza. La sua era la forza semplice di una bambina che si scontrava con l’assurdità dei grandi, dei forti. Aspettavamo che la piccola ci salutasse per continuare a nutrire la nostra speranza di vita!” “Piccoli, semplici gesti come questi, – racconta lo scrittore- ne avrei parecchi da raccontare, ma forse, quel  saluto così spontaneo e semplice aveva l’incredibile capacità di trasformare la sua fresca innocenza in un atto sacro, tale da farci sopravvivere. Quel  saluto valeva davvero una vita. La nostra di vita! E dire che non ho mai potuto ringraziare quella piccola polacca…”. “Chissà perché oggi i nostri giovani non ci salutano più?” . “Non lo so e me lo chiedo spesso. Senza però trovarmi una risposta.” La montagna sono i suoi ricordi, il suo stile di vita, quello della gente semplice che incontri quando vai in vacanza. Proprio in quei momenti il saluto ti  viene spontaneo: lo fa il turista come il montanaro, l’anziano come il giovane:  Io – racconta Stern-, sono uno scrittore  che non viaggia molto, quando lo faccio rimango male ogni qualvolta saluto dei ragazzi che non ricambiano… Forse è  colpa della  tecnologia, di quella fretta di oggi che ci fa dimenticare come il salutarsi sia principalmente una forma di rispetto verso il mondo che ci è attorno.” “Benvenga questa straordinaria campagna per salvare il saluto, non può che fare del bene a noi gente di montagna -auspica lo scrittore -, come a quelli di pianura e fino al mare. Salutare, in fondo fa bene a tutti!”. Un ultimo “Ciao” tutto personale, è quello che alla fine mi riserva il grande e vecchio scrittore, da quella sua sommità di ricordi dove ora ha trovato   rifugio eterno.

«Ecco, sono ritornato a casa, ancora una volta; ma ora so che laggiù, quello tra il Donetz e il Don, è diventato il posto più tranquillo del mondo. C’è una grande pace, un grande silenzio, un’infinita dolcezza. La finestra della mia stanza inquadra boschi e montagne, ma lontano, oltre le Alpi, le pianure, i grandi fiumi, vedo sempre quei villaggi e quelle pianure dove dormono nella loro pace i nostri compagni che non sono tornati a baita».

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