ALFABETO DI UNA TRAGEDIA: ABRUZZO 2009

Di Antonio Gregolin riproduzione vietata di testo e foto

DIZIONARIO DI UNA TRAGEDIA

L’Aquila 2009: i capitoli di un dramma

Ci sono due cose complesse  da raccontare: la guerra e il  terremoto. La prima, perché  è causata dagli uomini.  La seconda, incontrollabile,  dalla natura. Il terremoto del 6 aprile 2009 in Abruzzo ne  è una triste conferma: “Noi  abruzzesi –raccontano gli  sfollati nei campi -, siamo  terremotati da sempre. Ma mai come lo siamo stati oggi…”. Ha colpito duro, tanto duramente il sisma che ha devastato una città e decine di paesi. Ma ha scosso anche le coscienze nazionali in una gara di solidarietà, quasi perfetta, che è servita ai terremotati, ai soccorritori e a quanti hanno sostenuto gli aiuti da casa.

Sono i due lati della medaglia: la vita e la morte. La disperazione e la speranza. Sopravvivere e vivere. Le lacrime e il sorriso. I funerali e i battesimi. I vecchi e i bambini. Potremmo continuare all’infinito, ma per capire bisogna vedere. E chi ha visto ci ha raccontato con parole e immagini…

MANDORLI E MACERIE

E’ la prima scena che si mostra a chi è arriva nelle zone terremotate: alberi di mandorlo in fiore e macerie. I petali bianchi che dolcemente cadono sulle pietre di case e chiese. Un tentativo di bellezza sulla violenza della natura. Il profumo dei campi di primavera alle pendici del Gran Sasso con la polvere delle macerie. Un binomio che in tempi di vita e morte è speranza e straziante allegoria.

“LUI” IL TERREMOTO

In Abruzzo, nelle aree colpite dal forte sisma del 6 aprile  2009 (300 i morti), è ormai chiamato famigliarmente il “Lui”. Come fosse una cosa viva e lo è, il pulsare della terra è devastante e logorante. I danni. Le macerie.La paura, ma soprattutto il ripetersi delle forti scosse durate per settimane. E’ questa l’anomalia anche per i sismologi di questo terremoto (per qualcuno preannunciato) che è arrivato nel cuore notte. Come in un assedio da allora è stato un lento logorio di nervi.“Di giorno ci tiene svegli –dicono alcuni terremotati con innata ironia-, mentre di notte vorrebbe svegliarci…Mannaggia a Lui!”.

QUEL  RUMORE

Il terremoto ha un suo distinto suono. Una voce che anticipa il suo arrivo.Pochi secondi di un suono cupo e sinistro che viene dal basso dopo di che i piedi iniziano a tremare.

Puoi essere avvezzo ad ogni tipo di rumore, ma quello “spaventoso” del terremoto è distinto e indelebile. Lo raccontano i sopravvissuti. Lo confermano anche i soccorritori. All’Aquila tutti sono diventati forzatamente dei sismologi: già dal rumore molti stabiliscono l’entità della scossa.

Sbagliano di poco perché è “l’abitudine” alla paura ad aver affinato i loro sensi.“A forza di scosse –spiega con ironia l’anziana terremotata Gilda, di 94 anni in carrozzina- semo tirati come le corde di un violino. Qui se move tutto, così che abbiamo pure imparato a ballà!”.

TENDE E POLEMICHE

Nelle polemiche c’è poco di diverso dai casi analoghi del terremoto del Molise e Umbria. Dell’Irpinia e Friuli. Gli avvoltoi della politica e della polemica ronzano sempre, a torto o a ragione, sulle tragedie. La macchina dei soccorsi però è partita quasi subito. Alle difficoltà dei primi giorni si è arrivati a coprire le esigenze dei migliaia di sfollati. Vedi qui una città di muri sgretolati visibili e una invisibile che è quella dei palazzi lesionati dentro (migliaia) che dovranno essere abbattuti.

C’è la città dei vivi nelle tendopoli, e quella svuotata che sa di apocalisse. Impressionante è il silenzio di molti piccoli paesi arroccati sulle pendici delle valli Aterna e Subequana, che il sisma ha accartocciato laddove oggi è il vento a far da padrone, smuovendo nubi di polvere che completa l’opera di quanto è rimasto barcollante.

CITTA’ E PAESI

Una città intera, l’Aquila, evacuata. I suoi cittadini costretti ad accamparsi. Il centro storico, una montagna di macerie. Peggio ancora la periferia, dove la maggioranza dei palazzi di ultima generazione sono in piedi, ma internamente lesionati. Oltre la metà dovranno essere abbattuti: case nuove ( di burro) lesionate dal terremoto prima e distrutte dagli uomini poi. Di notte la città aquilana è spenta. Le strade presidiate dai militari come in tempo di guerra col coprifuoco. Qui però il nemico non si vede: si sente. Sulle pendici delle montagne, paesi e frazioni a noi sconosciuti abbiamo imparato a conoscerli in fretta: Fossa, San Eusanio, Onna, Castelnuovo, San Demetrio, Paganica, Bariscano, Piscenze, ecc. Puntini nelle carte geografiche, oggi sono spettrali scenografie che vanno al di là di ogni immaginazione: peggio della guerra stessa. C’è qui il silenzio dei paesi abbandonati e il brulichio delle tendopoli. Degli spazi vuoti e quelli sovrappopolati dei campi. Gli odori della vita e della distruzione. Tutto ciò ti riporta al senso primitivo dell’impotenza e la precarietà nostra contro le forze naturali. Poi la solidarietà della sopravvivenza. L’esperienza, per tutti, vittime o soccorritori, è un grande dizionario di umanità. Ciò che cambia fuori, trasforma ciò che hai dentro: rabbia o speranza che sia come una lezione dopo che il maestro si è mostrato troppo severo

I VOLTI CHE TREMANO

Noi vediamo il paesaggio, le bellezze e la sua gente. Quando poi tutto questo viene sfregiato, si perde la bellezza, si modifica il paesaggio, ma non mutano i volti. La gente d’Abruzzo stoicamente ha resistito. Le lacrime hanno lasciato presto trasparire dai loro volti la voglia di restare e continuare. Quante volte mi sono sentito chiedere: hai visto la disperazione di quel popolo? No, ho visto la dignità del dolore, ma anche i sorrisi di chi vive nel dramma, ma non si rassegna. Come sempre (anche nelle guerre) due sono le sentinelle: i bambini e gli anziani. Questi ultimi, coloro cioè che custodivano i piccoli borghi abruzzesi, sono il vero monumento vivente alla resistenza. Hanno resistito alle guerre e ora con le loro ultime forze intendono combattere l’ultima battaglia. I monumentali vecchi abruzzesi, forgiati nel carattere, pur trovandosi fuori di casa, lontano dai paesi, senza le solite abitudini e costretti a stare sotto una tenda non hanno perso la loro innata volontà. In molti poi ironizzano sulla sorte. Contro questi, il terremoto può fare ben poco…

IN SERVIZIO SENZA DIVISA

Va ben oltre il senso del dovere quello degli agenti di polizia o forestali che prestano servizio pur essendo loro stessi dei terremotati. Sfollati come gli altri che vivono sotto le tende, pronti  a compiere il loro compito nella delicata fase dei soccorsi.Decine i forestali del Corpo forestale dell’Aquila, sebbene senza divisa e con vestiti di ripiego, si sono visti aggirare nella loro sala operativa di S.Elia, con il cuore diviso a metà tra la famiglia e la gente. “Non abbiamo più niente, neppure i vestiti –raccontava uno di loro-, ma dobbiamo fare tutto…”.

FRATI SPOGLIATI DI TUTTO

Non si vede perché non ho più l’abito, ma sono un frate..” mi disse un anziano cappuccino ferito ad un braccio del convento di S.Chiara dell’Aquila, lesionato dal terremoto e, costretto a vivere con altri sei suoi confratelli dentro uno scompartimento cuccette di un vagone ferroviario alla stazione centrale.

Con lui altri frati più giovani che risaltano per il lo spirito. Chitarra in mano, vanno e vengono dalle tendopoli. Segni evidenti di una spiritualità ridotta all’essenza della povertà più vera.

CHIESE-MAGAZZINO

Sono poche le chiese rese agibili in tutto il territorio terremotato. I luoghi di culto sono i più danneggiati (oltre 450 edifici). Chiese rase al suolo o da demolire. Cristi e madonne terremotate. In una di quelle risparmiate e ancora agibile alla periferia dell’Aquila, una chiesa moderna è diventata un grande magazzino di prime necessità. Il Cristo con le braccia spalancate sull’altare, è circondato da scatoloni e vestiti sparsi ovunque sui banchi di preghiera. Un “supermercato” dei bisognosi dove la gente arriva e prende ciò che gli serve. Fuori invece -era il giorno di Pasqua-, i preti confessavano stando lontani dai muri. All’aperto e sotto il sole anche i primi battesimi, come ai tempi del cristianesimo delle origini.

ANGELI-SOCCORRITORI

Tanti e dovunque. Un “esercito della salvezza” dai mille dialetti, con un unico obiettivo: portare soccorso. Efficienti, professionali, delicati e disponibili. Chi invece riceve il loro aiuto è pronto a riconoscerne i meriti.“Ci sentiamo amati…” dicono sotto le tende.

E’ una certezza che vale più di una medicina, con che gli anziani  sornioni dicono col sorriso: “Non abbiamo mai mangiato così tanto e bene come in questi giorni…”. Le tende blu cobalto sono dovunque, e ovunque è arrivato il soccorso. “Grazie anche a voi giornalisti per essere qua…”.

LA RICOSTRUZIONE(!?)

Dopo l’emergenza la ricostruzione. I tempi saranno lunghi, ma a nessuno dei terremotati è vietato pensare al futuro. “Il cibo e il vestiario non sono mai mancati –spiega il vicequestore della forestale Luciano Sammarone, coordinatore i servizi di soccorso-, l’importante ora è che si agisca in maniera razionale”.

“Per questo chiedo anche agli imprenditori vicentini uno sforzo per promuovere azioni che mirate a sostenere la ricostruzione. Mi rivolgo a chi costruisce case di legno, che sono decisamente migliori dei container, per loro potrebbe essere una buona congiuntura per piazzare i loro prodotti”.

“L’importante è che arrivino preventivi e progetti da presentare a quei cittadini desiderosi di affrontare al meglio il lungo tempo che servirà per la ricostruzione”. Parola questa che ad oggi resta un miraggio per tutta la popolazione aquilana, colpita due volte: dal terremoto e dalla mala-politica italiana.

L’IMMAGINE SIMBOLO: IL SOLE SFREGIATO DI ONNA

C’è sempre un’immagine simbolo che emerge da una tragedia. Un’ancora di salvezza per evitare l’oblio del dolore. Tutti ne hanno una, più o meno segreta o svelata.

La mia è quella di un sole che ride dipinto a mano su una mattonella che spuntava dalle macerie di una casa di Onna, il paese simbolo della devastazione. Qui persero la vita quaranta persone e in quella casa furono quattro le La piastrella era ammassata tra le montagne di macerie. Era sfregiato, ma quel sole sorrideva ancora. L’immagine mostrava tutta la crudeltà di ciò che è e ciò doveva essere stato fino a poco tempo prima. Chiesi se potevo prendere quel sole ad un vigile del fuoco: “Se lo prenda pure quel sole sfregiato, ma ne abbia cura…” mi rispose lui. vittime.

QUEL SOLE SPUNTATO DALLE MACERIE E RICONOSCIUTO DA UNA CITTADINA DI VICENZA

“Sì, quel sole dipinto sulla pietra era proprio a pochi passi dalla mia casa di Onna, dove sono nata e cresciuta…”. A dirlo è Vera de Felice, 74 anni, residente a Vicenza, nativa però del piccolo paese abruzzese straziato dal terremoto di due settimane fa. Singolare la sua vicenda umana, ma altrettanto quella del frammento di pietra su cui è affrescato un sole ridente, oggi sfregiato, raccolto e portato a Montegaldella per essere esposto in chiesa. Non è facile dimenticare l’immagine di un sole che ride, impolverato ai margini di un deserto di macerie. Difficile dimenticare poi le parole di un vigile del fuoco che il giorno di Pasqua mi disse: “Abbia cura di questo sole…”.

Simbolo di luce, sembrava  essere tramontato su una montagna di macerie, diventando inconsapevolmente segno di morte e speranza. Quel giorno di “resurrezione” lo raccolsi con il rispetto che si deve a un simbolo,  considerando che chi l’aveva dipinto era rimasto travolto dagli stessi muri affrescati. “Lì sotto –mi  dissero i soccorritori- è morta un’intera famiglia!”. Arrivato a Montegaldella, il sole è stato esposto in chiesa con la precisa volontà di diventare un messaggio di sensibilizzazione in particolar modo nella giornata di ieri che la Chiesa ha dedicato ai terremotati. Ad aver notato la foto comparsa sul nostro giornale con quel sole è stata  proprio  la signora Vera che l’ha subito associato alla variopinta casa nobiliare sbriciolatasi nel centro di Onna. Ma il suo è un dolore riservato e quanto mai vivo : “Sotto le macerie –racconta commossa la signora Vera De Felice-, ho perso i nipoti Alessandro di 4 anni e Lorenzo di 3 col rispettivo padre Antonio. Sono ritrovati trovati stretti uno all’altro. Così sono partiti per il cielo…”. “Conoscevo bene anche gli abitanti di quella casa dov’era affrescato il piccolo sole”, aggiunge lei. “Vi abitava l’anziana Emma Colaianni con la figlia e un giovane nipote: tutti morti. Come loro altre 37 persone travolte da quei crolli che hanno cancellato in pochi secondi ricordi e affetti. Il terremoto ha straziato una parte della mia vita, tanto che oggi fatico a trovare il coraggio di pensare di ritornare nel mio paese”. Quel sole risorto dalle macerie per Vera Felice è un frammento doloroso che si aggiunge al mosaico di emozioni di questi giorni.

A sostenere nei ricordi c’è il marito Pietro Calegaro che a Onna c’è stato solo qualche mese fa: “Lì abbiamo ancora la casa di mia moglie, -racconta il marito- che si trova  proprio a pochi passi dove un tempo si trovava la casa del sole, conosciuta in paese per la scritta che campeggiava sulla porta d’entrata: “Parva domus magna quies”. Dico così perché la nostra casa è rimasta miracolosamente intatta nonostante intorno sia crollato tutto. Sono stati i nostri figli a raccontarci ciò che è successo, quando il giorno dopo il sisma sono partiti da Vicenza per raggiungere il paese abruzzese”. “Mia moglie ha ancora gli occhi lucidi quando alla televisione vede ciò che resta del suo paese natale. E poi, a Onna sono quasi tutti parenti…” spiega il marito. “Nessuno, inclusi i superstiti, possono entrare in paese per il pericolo dei crolli. Così le notizie mi arrivano tramite i  nostri figli accampati anche loro alla periferia del piccolo borgo”.Parla e racconta con lo spirito di mamma, zia e cittadina moralmente ferita la signora Vera, osservando a quel sole risorto dalle macerie: “Purtroppo questo simbolo non risplenderà più per chi è morto. Chi invece è rimasto vivo vede la luce del mattino illuminare la tragedia e l’oscurità occultarne le ferite”.

L’ALBUM DELLA MEMORIA



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