CHE TEMPO CHE FA O FARA’?

di Antonio Gregolin                                               -© riproduzione vietata di testo e foto-

NOI “PROFUGHI AMBIENTALI”?

Intervista con lo scienziato di “Che tempo che fa” sul dissesto idrogeologico e ideologico nazionale.

Luca Mercalli è il  climatologo con la  “farfallina” di “Che tempo  che fa” su RaiTre. Il  “filosofo del tempo” com’è  stato definito, è prima ancora uno scienziato (Presidente della Società Meteorologica Italiana) che da anni porta a conoscenza del grande pubblico i rischi degli effetti climatici sulla nostra quotidianità. L’abbiamo raggiunto nel suo rifugio-ufficio in Val di Susa, per discutere sull’alluvione che ha travolto il Nordest, e lui ci parla subito di “sfollati ambientali”.

Ma la questione può estendersi a tutto il territorio nazionale, ormai in perenne emergenza idrogeologica (e ideologica!?). Mercalli non è nuovo a queste definizioni, visto che da anni in video come nelle conferenza scientifiche enuncia con dati alla mano, un numero crescente di fenomeni che causano “sfollati, profughi o scampati” per le mutazioni climatiche.  Per il meteorologo non vi sono dubbi, rincarando la dose sui rischi futuri se non si rivede lo sfruttamento del territorio italiano , prossimo al collasso.

Perché associa l’alluvione veneta ai fenomeni  di dissesto nazionale, definendoli come l’ovvia conseguenza “naturale” dei nostri comportamenti ?

Non lo dico solo io da povero scienziato, è la storia scritta sui libri che dal 1200  ad oggi ci dimostra che fenomeni più o meno eccezionali sono ciclici quanto naturali. Con un’aggravante moderna che dagli anni’70 ad oggi, che chiamiamo  “impronta ecologica”,  si è fatta eccessiva quanto devastante. Questa rende esplosiva la situazione, al punto da trasformarsi ormai in calamità nazionale. Basti vedere i danni e i costi che ciò comporta. Questo mio è un discorso che puntualmente rimarco quando sto televisione. Ma come vede, tutto passa e pochi ti ascoltano in questo Paese. Le faccio u esempio pratico:  giusto il sabato prima della alluvione in Veneto, davanti a tre milioni di spettatori, dissi che il 2-3 novembre scorsi ci sarebbe stata una situazione delicata con forti piogge con rischio di esondazioni. Poi dal dire al fare, si sa che la gente oggi preferisce vedere il Grande Fratello che ascoltare un’allerta meteo! Dico di più, chi come me fa questo mestiere e cerca di farlo con la massima serietà scientifica oissibile, oggi viene recepito come uno che porta “sfiga”! Immagini lei dover lanciare un appello come quello che prediceva l’arrivo di una vasta perturbazione generata dalla depressione «Xanthippe», così battezzata come è uso da oltre un decennio dall’Istituto di Meteorologia dell’Università di Berlino, che ha scaricato sul nord Italia tra cento e duecento millimetri di pioggia in due giorni, con picchi di 400-500 mm sull’alto Vicentino. L’effetto è stato quello che non c’è stato alcun tipo di allerta e tantomeno prevenzione. Cosa questa che contraddistingue gli italiani dal resto dell’Europa!

Questo alimenta i dubbi di  chi dice che “il disastro  (come molti disastri italiani  dal Vajont a oggi), possono  essere evitati”?

Sia chiaro che come scienziati noi studiamo l’entità del fenomeno, ma non la localizzazione precisa. Definiamo l’area, ma è estremamente difficile individuare quali città o paesi saranno colpiti. Ciò non toglie che un’allerta non vada mai sottolineata. Questo è un Paese dove nessuno si prende le responsabilità per il “procurato allarme” qualora il fenomeno non si verifica con precisione. La scienza su questo lascia dei margini di errore geografico, non meteorologico.

L’evento che vi ha colpito, tuttavia non è stato eccezionalmente intenso, capita più o meno ogni anno. Anzi, ormai di situazioni alluvionali vengono registrate mensilmente su tutta l’Italia e la stampa né da costantemente notizia. Perché allora siamo sempre qui a stupirci di fronte alle vittime e ai danni? In effetti nubifragi, frane e alluvioni fanno parte, dalla notte dei tempi, della naturale dinamica del territorio e sempre ci saranno, qui come altrove. È la nostra vulnerabilità che si è accresciuta, a seguito di una dilagante cementificazione fondata su un approccio di dominio sull’ambiente piuttosto che di convivenza.

Sta arrivando al dunque: la natura mette il suo, ma l’uomo fa ancora peggio?

Sono stanco di ripeterlo: la natura concorre, ma siamo noi ad intervenire nelle forme peggiori contro il territorio che poi si gira contro. Il peggio è che davanti a queste catastrofi, noi seguitiamo  a essere ciechi e  sordi. Lei sa che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire… e la natura questo non lo dimentica!

Significa che  gli italiani  sono sordi e ciechi  intenzionalmente?

Assolutamente, sì! Da una  parte esiste una  componente educativa,  imposta da un modo errato di progettare, gestire il territorio come fossimo dei predatori. Dall’altra mettiamo la componente politica che è ottusa su questi temi, e il disastro quotidiano è servito! In fondo, ci comportiamo con l’ambiente come fanno i fumatori davanti ad un pacchetto di sigarette anche se vi è scritto: “Nuoce gravemente alla salute”. L’esempio mi pare chiaro!

Tutti colpevoli dunque?

Andate a spulciare tra i libri di storia! Anzi, basta leggere le pagine degli atti del convegno che si tenne a Vicenza nel 2004 su “Consumo del territorio” per capire che era già tutto scritto. E questo per quanto riguarda una provincia, immagini lei  quanto è stato scritto, ma resta inascoltato,  sulle restanti provincie e regioni d’Italia!

Tutto prevedibile?

Quando manca –ed è mancata- è un’etica del costruire, programmare e pianificare. Da noi la questione è cronica. Diversamente, se ci fosse una pianificazione razionale che sposa la scienza con lo sviluppo, molte cose si potrebbero prevedere. Ma questa è L’Italia!

Può offrire delle soluzioni?

Come risposta, vi voglio  consigliare un film che  potete vedere direttamente  su internet: www.il  suolominacciato.it . C’è  di che riflettere! La ricetta  internazionalmente poi affinché le forti piogge facciano meno paura sarebbe: 1) una più saggia pianificazione urbanistica con drastico blocco della nuova edificazione, evitando il rischio delle città allargate; 2) una coraggiosa rilocalizzazione degli abitati in zone a rischio, come ha fatto il governo francese nelle aree costiere inondate dalla tempesta Xinthia dello scorso febbraio; 3) un fondo assicurativo obbligatorio sui rischi naturali; 4) un programma a lungo termine di manutenzione idrogeologica capillare e diffusa in luogo di grandi opere di canalizzazione e arginatura che spesso producono un senso di falsa sicurezza e aprono la strada a nuovi insediamenti edilizi; 5) martellanti programmi educativi di prevenzione, nelle scuole e in televisione: si abbia il coraggio di spiegare alla gente in prima serata come ci si deve comportare in caso di emergenza; 6) potenziamento dell’infrastruttura di previsione meteorologica e protezione civile, incluse esercitazioni. È probabile che in futuro i cambiamenti climatici proporranno precipitazioni ancora più intense: una ragione di più per attrezzarsi e cominciare a ragionare, per salvarci.

E intanto, si seguita a dare  forza al partito del cemento…

Così va l’Italia! Vorrei solo che a fronte di questo nuovo mostro mi trovaste un sindaco, un ingegnere, un progettista, disposti ad andare da un notaio per sottoscrivere la propria responsabilità qualora l’edificio andasse sotto acqua. Lei crede che  esista uno così coscienzioso?  Magari, e ve lo dico da italiano!

SCATTI DI  MEMORIA

Le seguenti immagini fanno riferimento alla recente alluvione  nel Veneto) dal 1 nov al 25 dic 2010

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