LA MEMORIA DEL MURO. BERLINO 1989

di  Antonio Gregolin                               -© riproduzione vietata del testo –

“QUEL MURO DENTRO”

Le memorie di un incontro (1992)  con un italiano che vendeva pezzi del muro Berlino,  che  ha vissuto da  testimone tutta la  storia dal 1950 ad oggi.

Capita spesso che dagli archivi spuntino frammenti di storia, anche comune. Come l’incontro che feci nel 1992 con “Frank”, triestino di nascita, diventato berlinese nel 1959, due anni prima della divisione della  Germania. Dopo la caduta di “The Wall”, Francesco ormai ottantenne, per arrotondare la sua pensione ha venduto per anni frammenti  di muro ai turisti a caccia di “tracce” di un simbolo che non esisteva più. Lui, quale testimone della storia, vendeva i pezzi di quella storia: ” Il Muro l’ho visto costruire e poi distruggere…”.

L’ERRORE CHE FECE CADERE IL MURO…

Dalla paura al ricordo. Dalla storia alla memoria. Vent’anni dopo (1989-2009), quello che  fu una ferita nel cuore dell’Europa, appare sempre più come uno sbiadito ricordo che le nuove generazioni leggono solo sui libri, coi testimoni  che si sfoltiscono col tempo. L’ottantenne “Frank” alias Francesco, è uno di questi. Migrato da Trieste arrivò a Berlino nel lontano 1959. Della città ha visto tutti gli storici cambiamenti. Oggi le sigle DDR e BRD restano pressoché indecifrabili ai giovani che sbarcano nella capitale tedesca. Quel muro cadde (dopo trenta anni) con la medesima rapidità con cui venne edificato. Di più: fu  colpa di un errore umano che permise alla storia di compiere un balzo in avanti, sgretolando un sistema ritenuto granitico.

Correva l’anno 1989, quando l’autunno (era ottobre) faceva presagire che oltre alle foglie, presto sarebbe caduto un confine, un’idea, una società. Toccò ad un involontario militare della DDR di presidio presso il  celebre check-point “Charlie” la notte del 31 ottobre 1989, a travisare l’ordine: “Aprite la sbarra e lasciate passare tutti i cittadini…”. Esegui senza esitare, ignaro che quella suo gesto avrebbe cambiato le sorti dell’intera Europa.

“LO VIDI COSTRUIRE E  POI DEMOLIRE

Di quel massiccio muro resta solo un segno bianco o grigio  sull’asfalto. Effetto dissasivo, o mera richiesta turistica? E’ il dubbio che resta latente ogni qualvolta si rifà la storia: da Berlino, fino a Bagdad. Così ai turisti che oggi visitano la capitale riunita in cerca di cimeli storici,  il passato è cancellato da uno dei più grandi cantiere del mondo. Oltre ai pochi segni  sull’asfalto, del muro non resta che un piccolo museo a ridosso dal checkpoint “Charlie” e poche cartoline per turisti. Le ultime vestigia del muro, ammirati come reperti archeologici in un angolo seminascosto nei pressi della Porta di Brandeburgo, lasciano poco spazio anche la fantasia.

Quei pochi metri di cemento di tre metri d’altezza ricoperto da una patina colorata, scampato alla distruzione del’89, si è salvato per volontà della gente del vicino quartiere. “Nessuno l’ha mai voluto togliere, neppure dopo la sua caduta…”, mi spiega l’ottantenne Frank che vede quel muro dalla finestra del suo appartamento poco distante. “Sì, quel muro io l’ho visto nascere e poi distruggere; e questo è tutto ciò che resta: solo frammenti”, mi dice mostrandomi schegge colorate di cemento disposte su un improvvisato banchetto, che vende ai turisti a 5-10 marchi”.

Ciò che non è in vendita, sono i suoi ricordi di testimone oculare: “Nel 1960 ho sposato Gitta, berlinese dell’ex Germania dell’Est, un anno primo che il muro fosse edificato”. L’accento triestino, Frank non se l’è dimenticato, e benché parli  fluentemente il tedesco, la cadenza conferma le sue origini italiane. Oggi è un vecchietto tranquillo dalla voce bassa e il fare dimesso: “Per alcuni anni –racconta l’anziano-, ho avuto un piccolo banchetto abusivo a pochi metri dal Checkpoint Charlie, in cui vendevo con qualche foto o stemmi dell’Armata Rossa e frammenti di cemento che io stesso andavo a recuperare in quello che veniva chiamato “Friedhofsmauer”, ovvero il cimitero del Muro,

dove erano stati ammassati buona parte dei lastroni divelti della lunga striscia di cemento (106 km) che dividevano la città, in attesa di essere poi sbriciolati ed essere trasformati in fondo stradale”. “In quegli anni (dal 1989 al 1995) –prosegue l’uomo, questo fiorente commercio per turisti era conteso tra immigrati  turchi e greci che ne avevano il monopoli. Io ero l’unico italiano tollerato! Così mi dividevo dal checkpoint e l’altro lato della Porta di Brandeburgo vicino casa mia, dove restano ancora i resti del muro e le fondamenta di alcune case appartenute alle SS nel 1940. Il luogo era (e  rimane Ndr) un piccolo museo all’aperto, con due muri: quello del Nazismo e poi del Comunismo, entrambi caduti in rovina.

In mezzo c’è l’esperienza raccontata da “Frank”: qualche dettaglio storico lui lo rammenta, eccome. Ricorda la fretta con cui  nella primavera del 1961 il muro venne edificato: “L’ho visto tirare su in pochi giorni, tanto che per la sua precarietà tutti credettero che sarebbe stato smantellato di lì a poco e non sostituito, come invece poi avvenne, con lastroni di cemento.

“QUELLA LINEA BIANCA CHE DIVENTO’ UN CONFINE…”

Da subito venne tracciata una linea bianca che sarebbe diventata presto un confine reale che  divideva case, palazzi, strade e chiese senza distinzione alcuna. “In poche ore molti berlinesi si trovarono ad avere la cucina nella zona Est e il salotto all’Ovest, senza poter fare nulla”. In pratica però, la “Todesstreifen la linea  della morte, tagliava trasversalmente la Germania e la stessa Berlino: ”Pensammo così -racconta Franco- che molto presto sarebbe scoppiata una guerra tra le due superpotenze proprio per quel muro… Non andò così, ma nacque un confronto durissimo tra i due blocchi, “la Guerra fredda” che durò per anni. All’alba del 13 agosto venni spinto dalla curiosità di vedere cosa stesse accadendo. Vidi i primi soldati volontari  dell’esercito russo schierarsi davanti alla storica Porta di Brandeburgo, proprio dove oggi i turisti passano coi loro pullman. Era l’inizio di tutto. E dire che fin da giovane mi sono trovato a dover convivere con le guerre: avevo dieci anni quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale. Subito dopo vissi la separazione dall’Istria imposta dai “Titini”. Ora assistevo alla divisione della Germania. In pochi giorni vennero tagliate tutte le vie di comunicazione dall’Est all’Ovest: strade, ferrovie, aeroporti e migliaia di persone si trovarono separate. La temuta  Volks-polizai (la polizia del popolo) gestiva l’ordine pubblico nella zona Est. Chi riuscì a fuggire in quei concitati momenti, scappò all’Ovest nella maniera più roccambolesca. Si scappava nascosti dentro i sedili delle auto, nascosti nelle valigie o attraverso i tunnel di 80-100 metri, costruiti dai partigiani e gestiti dagli studenti. Per molti anni, i giornali riportarono le vicende e i morti di quelle fughe dalla  DDR suscitando la nostra ammirazione e curiosità”, spiega Franz. Lo stesso padre della moglie Gitta che si trovò confinato nella parte Est. Dopo molti giorni  gli fece recapitare un messaggio su un pezzo di carta da giornale, scrivendogli: “Probabilmente non ci vedremmo per molto tempo. MI spiace. Ti voglio bene! Aspettami!”. Suo padre morì due mesi dopo a causa di un attacco cardiaco: “Un infarto che senza dubbio -ripete oggi Franz-, fu la conseguenza diretta di quel muro. Fu per il suo funerale che entrammo per la prima volta nella DDR. Ricordo che passammo a piedi per il checkpointCharlie” con un permesso speciale ottenuto grazie al mio passaporto italiano. Non avevano ancora eretto il grande muro di cemento, ma la linea di confine era già invalicabile: era un muretto provvisorio circondato da un’infinità di reticolati, sorvegliato a vista da soldati pronti a sparare”. “Di seguito, andammo all’Est solo per incontrare gli amici e parenti. Le strade allora erano impraticabili e piene di buche. Alexandrer Plaz era l’unico centro commerciale dove la merce arrivava in stock e si esauriva in poche ore, per poi attendere settimane prima di rivederla sugli scaffali”. “Nei primi mesi dopo la separazione,  la gente della zona comunista, per necessità aveva rispolverato così anche divise e cappelli dell’armata nazista abbandonati venti anni prima. Le case stesse davano un’immagine lugubre, e le persone  si comportavano di conseguenza. Era un altro mondo dove tutti cercavano di non dare troppa confidenza per paura della famigerata “Stasi” (la polizia segreta): l’incubo quotidiano al di là del muro”.

“Nei negozi la merce scarseggiava –ricorda la moglie Gitta-, e noi dell’Ovest potevamo portare solo del sapone perché quello loro puzzava tremendamente, poi calze di naylon, caffè e vestiti. E basta! Sapevamo  che era tassativamente vietato introdurre giornali, libri, e in particolare “Topolino”, ritenuto un simbolo fuorviante del capitalismo occidentale. Ma il divieto era anche per i fiori recisi, le radio e televisori. Le foto potevano essere scattate solo in certe zone. Ricordo  l’episodio avvenuto ad un ufficiale americano nel 1985, freddato da una sentinella mentre stava fotografando una caserma sovietica. Non scherzavano affatto quelli…”.“Curiosi erano i racconti fatti dalla propaganda della DDR su noialtri: raccontavano ai bambini che noi “imperialisti” avevano le corna come degli animali, e  li avremmo derubati se fossero passati di qua! Questo giustificava il timore che avevano quando c’incontravano!”.

“ERA DI UN CEMENTO SPECIALE…”

Me lo mostra prendendolo direttamente dal suo banchetto il materiale speciale (cemento reso compatto da una particolare miscela di sassi, sabbia e calcestruzzo)  con cui era composto il  Muro di Berlino: “Le facciate dei lastroni erano colorate di graffiti all’Ovest, mentre era bianco nella parte Est per facilitare l’individuazione di chi tentava la fuga…”.  “L’errore è stato proprio quello di smantellare il tutto dopo la caduta. Del Muro non c’è più traccia o quasi, mi dicono che sia rimasto un pezzo 25 km fuori Berlino, ma che nessuno va a vederlo” conclude Franz, prima di salutarmi. “Dovevano conservarne un tratto  per dimostrare a tutti ciò che questa città ha subito. Non  basta aver lasciato un segno bianco sui marciapiedi di oggi per  spiegare cosa sia  stata per noi la “Guerra Fredda!”. Così a poco sembra servire anche il gesto della  piccola statua di bronzo eretta dinnanzi alla Porta di Brandeburgo che sembra urlare agli orecchi delle giovani generazioni le parole del nostro Petrarca: Urlate al mondo la pace!”.

Franz ormai avanti negli anni si dice preoccupato che si dimentichi tutto e troppo in fretta: “La stessa fretta di quei turisti che oggi si fanno fotografare a Berlino con il segno della vittoria, senza poter capire o vedere cosa abbia significato per noi testimoni quel muro maledetto!”.

  • Cronologia del muro:
    1945 – fine della seconda guerra mondiale
    1949 – divisione della Germania
    1961 – erezione del muro di Berlino, fortificazione del confine tra le due Germanie
    1989 – caduta del muro
    1990 – riunificazione della Germania
  • Numero di persone fuggite dall’est all’ovest prima della costruzione del muro:
    – totale (1949-1961): ca. 2,6 milioni
    – media annuale (1949-1961): ca. 220.000
    – su una popolazione totale della ex-DDR di: 17 milioni
  • Abitanti di Berlino ovest che, fino al 1961, lavoravano ogni giorni all’est:ca. 12.000
  • Abitanti di Berlino est che, fino al 1961, lavoravano ogni giorni all’ovest:ca. 53.000

Il muro davanti alla porta di Brandeburgo

  • Lunghezza del muro di calcestruzzo: 106 km
  • Altezza media del muro di calcestruzzo: 3,60 m
  • Lunghezza di altri impianti con recinti fortificati e filo spinato: 127,5 km
  • Altezza media dei recinti fortificati: 2,90 m
  • Torri di osservazione al confine intorno a Berlino: 302
  • Larghezza della striscia di territorio all’est (vicino al muro o vicino al confine tra le due Germania) al quale si poteva accedere solo con un permesso speciale: da 40 m a 1,5 km
  • Persone fuggite da Berlino est a ovest:
    – a piedi, nei primi due mesi nei punti non ancora completamente fortificati:
    ca. 600
    – soldati dell’est fuggiti a piedi, nei primi due mesi: 85
    – attraverso dei tunnel scavati sotto il muro (1962/63): 137
    – con automobili preparati per nascondere delle persone: ca. 2.000

  • Persone uccise nel tentativo di attraversare il confine da est a ovest:
  • – lungo il muro di Berlino: ca. 230
    – lungo il confine tra le due Germanie: ca. 650
  • Persone ferite nel tentativo di attraversare il confine (a Berlino e lungo il confine tra le due Germanie): ca. 850
  • Persone arrestate nel tentativo di attraversare il confine: numero imprecisabile, sicuramente molte migliaia
  • Soldati dell’est uccisi in scontri di fuoco con persone fuggite, soldati americani o polizia dell’ovest: 27

FOTO-MEMORIA

Le foto seguenti testimoniano ciò che rimane oggi del muro di Berlino (foto M.Monti)


11 Responses to LA MEMORIA DEL MURO. BERLINO 1989

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *