IL FOTOGRAFO DEL PAPA

di Antonio Gregolin -©riproduzione vietata del testo-

I TRE SCATTI DI VITA DI UN PAPA-BEATO.

Arturo Mari,  il fotografo che per 25 anni è stato “l’ombra”  di Giovanni Paolo II

Dal primo maggio Giovanni Paolo II è diventato “venerabile”, dopo un processo canonico tra i più rapidi della storia della Chiesa. Da quel “Santo Subito” partito da Piazza S.Pietro il giorno dei suoi solenni funerali l’8 aprile 2005, fino agli onori degli altari di oggi, la figura del papa polacco sembra non conosce frontiere. A riconoscerli un’aurea di “santità” sono anche i laici, ancor oggi catturati dalla “medianicità” di questo Pontefice che fa parte di uno dei punti fissi di un’intera generazione.

Fotograficamente parlando è stato l’ombra, ma soprattutto la “luce” di Giovanni Paolo II. Arturo Mari, classe 1940 è conosciuto come “il fotografo ufficiale del papa”, figura-ponte tra il sacro papale e il profano della stampa mondiale. Il mestiere del fotografo l’ha fatto per ben cinquantatre anni al servizio di sei papi, da Pio XII a Benedetto XVI. Ma con nessuno prima è stato così a contatto come  per Giovanni Paolo II e i suoi  ventisette anni di pontificato.  Quasi in ogni istante, nella vita pubblica e privata del pontefice, come mai si era visto fare prima, Arturo Mari scatto su scatto tanto ne ha costruito la più credibile delle biografie.

Così vicino al papa da conoscerne i suoi sentimenti più profondi. Fu il primo a fotografare Wojtyla dopo la sua l’elezione il 16 ottobre 1978. Fu poi l’unico a immortalare il 2 aprile 2005 l’istante in cui il segretario personale posava il lino funebre sul volto del papa defunto. Se oggi parla della santità di questo papa è perché le sue immagini hanno già detto tutto o quasi. Ora però che ha posato gli arnesi del mestiere (dopo gli ultimi tre anni con Benedetto XVII), si gode la pensione in un mare di ricordi . Alcune di queste sue emozioni sono qui raccontate, aggiungendo quei dettagli che rendono ancora più esile la distanza tra il papa umano e quello oggi venerato.

Sono semplicemente un uomo fortunato –racconta Arturo Mari-, per avere avuto il privilegio di conoscere così da vicino e profondamente, un uomo, un  papa e un santo, il cui carisma l’ho vissuto sulla mia pelle. Viene facile intuibile che stando fianco a fianco ad  una persona dalla mattina alle sera, e per ventisette anni, sebbene si tratti di un papa, si arrivi ad avere una relazione quasi empatica. Ecco perché ci capitava spesso di guardarci negli occhi sapendo ciò che entrambi pensavamo.

Non so se chiamarla amicizia questa, ma di certo è il frutto di un legame privilegiato che a me ha cambiato radicalmente l’esistenza. Per tutti questi anni, alle sei di ogni mattina, quando Giovanni Paolo II concelebrava la messa nella sua cappella privata, io ero là con la mia macchina fotografica. L’ho poi seguito in tutte le funzioni, incontri e viaggi ufficiali: così tanti, che fatico a ricordarmeli tutti. Eppure, ogni volta che inquadravo la figura del papa, c’era sempre qualcosa di diverso in lui. Un soggetto perfetto sul piano fotografico, perché spontaneo! Nessun gesto, anche i più semplici, mi è mai sembrato uguale all’altro”. Ed è proprio in quella sua cappella privata che ho vissuto il momento più intimo e importante di tutti gli anni passatigli affianco. Era il venerdì santo del 2005, uno dei momenti più difficile della vita del papa,che ormai in condizioni critiche.

Lui era seduto davanti al tabernacolo con una telecamera che lo riprendeva di spalle, mentre sorreggeva il crocefisso, trasmettendo le immagini alternate con la Via Crucis dal Colosseo. Eravamo presenti io, il suo segretario e l’operatore. In un momento di stacco della ripresa, vidi quel gesto che non venne ripreso da nessun altro se non dal mio obiettivo. Il papa prese il crocefisso, lo portò a fatica al suo petto, baciandolo ripetutamente con una tenerezza che mi è parsa la sintesi di tutto il suo pontificato. Lo rividi  poi qualche giorno dopo nel letto della sua camera: otto ore dopo il papa sarebbe morto. C’ero io e il suo segretario personale, oggi cardinale Dziwisz.. Entrando, trovai il papa leggermente girato su un fianco, su un letto spartano che aveva poco di papale. Sul comodino c’era solo una mascherina per l’ossigeno, ma niente di tutto ciò che la stampa avrebbe detto poi.

Il papa era cosciente: “Santità, c’è Arturo. Arturo Mari…” gli sussurrò in polacco il suo segretario . Lui allora si girò lentamente, aprì gli occhi azzurri e mi fissò con uno sguardo trasparente e profondo, come non vedevo ma mesi, seguito da un suo sorriso che resterà per sempre il suo più bel regalo. Borbottò la sua benedizione e poi accarezzandomi la mano aggiunse: “Grazie, grazie…”. Si rigirò e quel suo ringraziamento fu il preludio del nostro congedo terreno: si vedeva che era ormai pronto per un altro viaggio…”. “Con Giovanni Paolo II ho viaggiato in tutti i continenti. Migliaia di scatti che possono riempire un’intera biblioteca, ma se mi chiedono quale sia quello preferito rispondo che sono le foto che  scattai quando il papa andò a visitare i lebbrosi e i bambini malati di Aids in Africa come a Calcutta. C’è da credermi quando dico che mentre scattavo e vedevo compiere quei gesti affettuosi del papa,  trattenni a fatica le lacrime. Mi commossi  anche quando il suo segretario pose il panno di lino sul volto de papa morto.

In questi momenti puoi essere e devi essere un professionista, ma l’umanità spesso ti tradisce: soprattutto, se sei contagiato da quella “beata” umanità che Giovanni Paolo aveva il dono di donare”. “Nel tempo mi sono chiesto se tra di noi ci fosse dell’amicizia? Confidenza, quella sì!  Anche se ormai tra me e lui bastava una occhiata, ci sono stati momenti così fraterni da ricevere anche dei consigli famigliari. Ricordo i dialoghi che avemmo quando gli raccontai che allora il mio unico figlio voleva farsi prete. Come padre ero preoccupato e frastornato. Fu allora  che il papa m’incoraggiò con dei consigli pratici sul come un padre deve comportarsi in questi momenti. Ma questo è solo uno dei tanti miei episodi personali con lui.

Lo voglio ripetere: Giovanni Paolo II è ora beato e il giorno della sua beatificazione, ovviamente ero  in Piazza S.Pietro. Emozionato, certo, ma non sorpreso! La sua santità è stata trasparente, e per certi versi  così “fotografica” che non c’è nessun scatto che non sia stato reso pubblico, compresa la sua morte. Quella sua luce è però la luce stessa di cui è avvolto ogni uomo. E’ per questo che è  stato un “Santo per acclamazione”. Non sorprenda se dico che non ho nostalgia di lui! Anche se so bene che lui non c’è più, sento comunque che sta alle mie spalle. Per questo dico che Giovanni Paolo II è ancora qua con noi.  Anzi, uno di noi!”.

PAPA DI UNA GENERAZIONE

“Prima da ragazzo poi come giornalista, l’ho incontrato svariate volte. In due occasioni poi ho avuto il privilegio di un colloquio privato. Ma il ricordo più forte riguarda la GMG del 2000, quando vidi il papa asciugare le lacrime di un giovane!.

Sono uno di quella generazione che è cresciuto per ventisette anni col “papa in casa”. Nato sotto l’austerità di  Paolo VI, poi l’amabile ma troppo fulmineo Giovanni Paolo I, la mia giovinezza è stata tutta col papa polacco. Per simpatia, affetto e poi professionalità, sono stati molteplici gli incontri personali avuti in tutti questi anni con Giovanni Paolo II. La prima volta lo incontrai in Piazza S.Pietro nel 1982, poi a Vicenza, Padova e ancora a Roma. Incontri di carattere religioso (udienze pubbliche e messe solenni) ma pur sempre in maniera ravvicinata. Ma  sono due i ricordi più diretti che mi hanno portato ad un vis a vis col papa-beato. Due incontri speciali, preceduti dalla messa del mattino e  dal colloquio: era il 9 giugno del 1994 e il 9 settembre del 1997, entrambi a Castelgandolfo. Confesso che mi fu sempre famigliare incontrare papa Wojtyla, per quella sua innata comunicatività da “vecchio conoscente”.

Il cerimoniale è  sempre cosa pomposa, ma le circostanze degli incontri all’alba con lui mi sono sempre parsi “famigliari”. Le differenze semmai, le ha imposte il tempo: nel 1994 incontrai un papa dinamico, col passo sicuro e una stretta di mano energica. Nel 1997 Giovanni Paolo II era appena tornato dalla faticosa Gmg di Parigi. Il male che lo affliggeva è già  manifesto. Ricordo come allora per l’affaticamento venne aiutato a sorreggere il calice. In quell’occasione ebbi un incontro di una decina di minuti. Non è mai stato un papa da anello, preferiva stringerti la mano, ma il suo sguardo restava quello penetrante di sempre. Ingobbito però stentava ad incrociare gli sguardi. Mi chiese da dove venissi. Mi parlò di Vicenza e Padova. Io lo incalzai dicendogli che mentre lui era a Parigi, visitavo la sua casa a Wadowize e i monti Tatry dove lui andava a sciare. Ricordo il guizzo di forza che lo portò ad alzare la sua testa e a  fissarmi con lo sguardo. Gli parlai delle mie impressioni sull’esperienza polacca. Ad un certo  punto non ricordando più il nome di alcune località, mi corresse invitandomi a ripeterle correttamente. Mi scappò un “Bravo!” e lui sorrise, aggiungendo dei ricordi di quando era giovane e frequentava quei posti. Gli dissi che mi sembrava strano aver visto qualche giorno prima la sua casa natale e ora poterglielo dire di persona: “Strano? Ogni tanto la vita fa di questi scherzi…” mi ribatté il papa. Da giornalista lo seguii poi nella fredda notte di Natale del 2000, quando aprì l’Anno Santo, quando era già canuto, lo vidi piegarsi sulla Porta Santa avvolto in un piviale sfolgorante di luce di rara bellezza con l’eco di fondo delle zanne di elefante.

Lo rividi successivamente più volte come inviato alla GMG del 2000, fino al suo funerale nel 2005. Ero in Basilica quando entrò Bush a rendere omaggio alla sua salma. Ero in Piazza S.Pietro quando il vento forte di quel venerdì 8 aprile, girava le pagine del Vangelo posto sulla bara di cipresso. Tante le emozioni, ma la più vivida resta per me un fuori programma. Fu l’abbraccio struggente di un giovane scampato alla sorveglianza durante la veglia di agosto del 2000 a Tor Vergata (Roma). Ero a una decina di metri dall’altare e vidi il giovane piangere e Giovanni Paolo II asciugargli le lacrime. Se non è umanità questa!

L’ALBUM DEI RICORDI


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