IL NOSTRO CAMPANILE IN GIARDINO

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“ABBIAMO UN  CAMPANILE IN GIARDINO!”

Sono tre, giovanissimi, amano suonare le campane e per questo hanno un campanile “privato” nel loro giardino. 

Suonati sono suonati, ma solo perché hanno in comune una sfrenata passione per uno strumento musicale che sta in alto e viene suonato con delle corde a mano. L’avrete già capito che stiamo parlando di campane. Loro sono tre giovani promettenti campanari che coltivano una passione così viscerale verso i campanili, che i loro stessi genitori, confessano che “fin da piccoli, Davide, Achille e Lorenzo, invece di giocare con macchinine e costruzioni, si dilettavano con campanelle restando incantati di fronte ad ogni campanile”. «Eravamo un po’ preoccupati –confessano oggi con il sorriso i rispettivi genitori-, ma poi col passare degli anni la cosa ci pare pure peggiorata. Al punto che, non gli bastavano più le campanelle che avevano in casa, oggi si sono fatti aiutare per costruire un piccolo campanile a portata di mano, nel giardino di casa!». Davide di anni oggi ne ha 12 come Achille, mentre Lorenzo 15. Il primo è vicentino, l’altro padovano e il più grande veneziano. Ognuno ha in giardino il suo campanile, non certo grande con quello di Montegaldella (Vi) 58 metri d’altezza con tredici campane, dove i ragazzi si recano a imparare a suonare le campane a corda, secondo il metodo “veronese”, ben diverso da quello “ambrosiano o bolognese”.

«Il nostro minicampanile –spiegano i giovani campanari- ci serve per allenarci!». Una sorta di palestra per campanari: “Da noi  –sottolineano i loro  genitori-, c’è poco spazio per cellulari o playstation, visto che i nostri figli ci chiedono di andare in giardino a “giocare” con il loro campanile. Ma lasciamo fare visto che la loro è una passione non comune, ma del tutto sana!”. Così viscerale che, ascoltare le motivazioni offerte da questi ragazzi si dimostra spiazzante, abituati come siamo ad accusare i giovani di essere senza passioni e poco rispettosi delle tradizioni. Se per i nostri nonni era questione sacra e di tradizione millenaria, tanto che il toponimo della Regione Campania deriva proprio da “campana”, oggi le campane fanno più rumore per le polemiche di chi dice che “fanno troppo rumore”, che per la loro armonia. Ci si dimentica invece della loro cultura. Di quello che hanno rappresentato, come dimostrano alcuni speciali alcuni musei tematici sparsi in Italia.

Pochi ma tutti ben forniti di tante storiche campane. Una cultura quella del “tirare le corde”, che oggi vanta più campane che campanari che sanno suonarle. Sì, perché i campanari sono come il Panda: in via d’estinzioni, prontamente sostituiti dai motori elettrici nei campanili. Che sia la fine di un’epoca dove l’arte campanaria passava di padre in figlio, appare ormai evidente. Può far quindi strabuzzare gli occhi udire oggi un ragazzino come Lorenzo, rivolge ogni domenica al papà, chiedendogli: «Mi porti a suonare le campane!». “Miracolo!” esclamerebbe qualcuno, conoscendo i capricci di molti ragazzi. Ancor di più se quel ragazzino chiede di fabbricargli un campanile in miniatura da porre in giardino. «Mi piace, e basta!» sentenzia Davide il più giovane e spavaldo dei tre allievi campanari, che ha iniziato all’età di otto anni la scuola campanari. Oggi che di anni ne ha dodici, Davide seguita a suonare con abnegazione e caparbietà, la sua dedizione verso le campane.

Achille invece, nutre un legame ancor più personale con le campane, visto come durante la grave malattia che l’ha colpito quando aveva otto anni, il suo desiderio espresso da malato, era quello di entrare in un campanile e poter suonare una campana. Sogno che Achille poté esaudire, ospite nel campanile della cattedrale di Verona, dove quattro anni fa, gli è stato concesso di suonare la grande campana dei Canonici, grazie all’Associazione “Sogni” di Giavera del Montello (Treviso), che contribuisce al benessere psicologico dei pazienti, con la quale era entrato in contatto quando era ricoverato nel reparto di oncoematologia pediatrica dell’Ospedale di Padova per un tumore dal quale è guarito. Mamma Giusy, passato il grande spavento, oggi racconta con il sorriso questa esperienza: «Fu un autentico regalo per Achille, ancora convalescente trovarsi al centro di tredici campanari. Non gli bastò però diventare campanaro per un giorno, e chiese subito di trovargli una scuola dove poter coltivare quella passione che già a quattro anni, lo vedeva letteralmente estasiato dinnanzi a un campanile, chiedendoci di portarlo qua e la a vedere campanili nei vari paesi».

Durante i lunghi mesi di degenza poi, Achille fece scuola di campane in corsia: «Era diventata un’abitudine di medici e infermieri, parlare con lui di campane –racconta la mamma-, tanto che ancor oggi lo ricordano come il “supercampanaro” con poteri speciali», pensando come questa sua passione sia servita al percorso di guarigione. Ecco perché poi il passaggio alla scuola campanaria diretta dal maestro Lucio Barbieri, gli è parsa scontata oltre che naturale:«Tornato a casa –racconta Achille-, mi sono messo a cercare un campanile dove suonassero ancora a mano. Non fu facile, perché non ne sono rimasti molti in giro. Seppi che a Montegaldella sopravviveva una squadra di campanari con tredici campane, e chiesi subito di potervi entrare». Da allora, Achille non perde una lezione, ma soprattutto è oggi membro effettivo della squadra di 15 campanari che tengono alto l’orgoglio della tradizione. Di recente il ragazzo ha pure aperto un suo canale Youtube “campanaro 09 italia”, dove pubblica video, notizie e storia di tutti campanili d’Italia. C’è poi chi per lo stesso “amore”, ogni domenica si alza all’alba per farsi accompagnare dal papà, dal veneziano fino al vicentino, per sessanta chilometri, da Sandon di Fossò (Ve) dove abita, fino a Montegaldella per andare a suonare le campane.

«Io vivo sotto un campanile –racconta il quindicenne Lorenzo-, così che le campane le ho dentro fin da bambino, quando erano la mia ninnananna». Galeotta fu per lui la visita al Museo delle campane di Montegalda, dove incontrò il maestro di corda, il vicentino Livio Zambotto, mentre suonava il carillon: «Vengo da una famiglia di ex-sportivi –dice Lorenzo-, con il valore del gruppo e della squadra. Fin da piccolo giocavo con delle campanelle, e visto che nel veneziano non esistono più squadre campanarie, qui venni a sapere che a Montegaldella c’erano dei campanari dove potevo imparare il sistema veronese del suonare le campane. Dieci giorni dopo ero già alla prima lezione in campanile. Oggi dopo alcuni anni mi sento ormai un campanaro. Sbaglio ancora, certo, e per questo mi alleno come farebbe un atleta. Ma non in una palestra, bensì nel piccolo campanile dotato di cerchioni, castello, corde di canapa e acciaio, contrappesi e ovviamente le campanelle sonanti che mi sono costruito a casa con l’aiuto di papà». C’è chi se l’è costruito di legno e chi in ferro, riciclando come ha fatto Lorenzo, gli angolari di un vecchio scaffale industriale, per la struttura portante.

«Insieme a papà Stefano che lavora nei cantieri delle grandi navi, abbiamo utilizzato i vecchi meccanismi avvolgibili delle finestre per simulare i movimenti delle corde e campane. Dei tre campanili da giardino, quello che ha il numero minore di campanelle, è quello di Achille: solo quattro. Davide ne ha otto di vispe sorelle. Mentre quello più tecnico in ferro di Lorenzo, ne ha nove e tutte in scala. E’ qui che i ragazzi suonano quasi ogni giorno, con uno scampanellio udito anche dal vicinato: “Sopportano tutti bene” assicurano i giovani campanari in erba, certi che “sia meglio ascoltare il tintinnio di una campana, che lo stridio dei rumori moderni!”.

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